Johannes Matthias Von Der Schulenburg Feldmaresciallo della Veneta Repubblica, nacque a Emden, Sassonia, nel 1661, da antica famiglia aristocratica. Dopo aver studiato all’università di Helmstadt, fu mandato a frequentare l’accademia di Saumur, in Francia, dove fu educato alla scuola ugonotta di tradizione calvinista e orangista delle scienze militari. Qui infatti venivano istruiti molti giovani stranieri di rango, ecco perché, oltre a scrivere correttamente il latino, farà largo uso per tutta la vita delle lingua francese nei suoi diari, relazioni, lettere e saggi storici, rivelando così un non comune talento di scrittore. Purtroppo i manoscritti andarono per lo più perduti nella campagna di Polonia del 1702. Schulenburg esordì come capitano nel 1685, contro gli ottomani, quando era la servizio dei duchi di Brunswick, arruolandosi volontario nelle truppe inviate in ausilio all’Imperatore d’Austria. Nella guerra di Successione spagnola combatte contro i francesi di Luigi XIV nelle Fiandre e in Alemannia. Con il grado di Colonnello fu servizio olandese nel 1693, nel 1697 passò quindi al servizio sabaudo, rivelandosi un soldato di grandi capacità ed acquisendo fama internazionale Ferito gravemente nella battaglia di Chiari (1701) interruppe il contratto per passare al servizio sassone,dove combatté contro la Svezia. Gravemente ferito ancora una volta, dopo una lunga convalescenza, nel 1708 è al servizio del Principe Eugenio di Savoia, nei Paesi Bassi, dove gli è dato il comando dell’intera armata di fanteria. Considerato un eccellente generale, nel 1715 accettò il comando della difesa di Corfù offerto dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Egli divenne l’eroe della difesa di Corfù. Infatti solo dopo due anni gli fu eretto un monumento davanti alla Fortezza Vecchia, onore eccezionale da parte della Serenissima, per la ben nota avversità a qualunque forma di esaltazione della persona in vita. Gli fu inoltre assegnato un vitalizio di 3.000 ducati annui, oltre al dono di una spada tempestata di diamanti del valore di 8.000 (visibile nel ritratto del Guardi, ora al museo Correr. Servì la Serenissima Repubblica per oltre 30 anni, passando molto del suo tempo in Levante, rafforzando le difese delle isole e in Dalmazia, dove riorganizzerà l’esercito veneto. Trascorrerà i suoi ultimi anni tra Venezia e Verona, e anche in quest’ultima città gli sarà dedicata una statua, restaurata nel 2003 dopo essere stata a lungo in stato d’abbandono. Morto all’età di 87 anni, fu sepolto nell’Arsenale di Venezia, dove tutt’ora esiste il suo cenotafio eseguito da Morleiter.
I COMANDANTI IN CAPO
Dal 1715 al 1747, anno della sua morte, il comando generale delle Armate Venete fu nelle mani del Fedelmareschiallo Matthias Johannes Von Der Schulenburg. Egli esordì nel 1715 nelle milizie Venete comandando la fortezza di Corfù , ove tutt’ora esiste una sua statua in una pubblica piazza. Autore di diversi trattati militari, rimase fino alla fine dei suoi giorni terreni, al servizio di “San Marco”, rinnovando ogni tre anni il suo contratto e declinando le varie e vantaggiose offerte fattegli più volte sia dal governo di Vienna che di Berlino. Il piano militare da lui presentato, per la riorganizzazione dell’Esercito Veneto, fu approvato dal Senato del 7 agosto 1720. Esso prevedeva una forza permanete di 18.000 fanti e 2000 cavalieri a fronte di un “sbilanzo del militar” di 1.600.000 ducati annui. In particolare la fanteria fu organizzata su 24 reggimenti, suddivisa in 12 veterani, 4 di Città e 8 nazionali formati da dalmati, morlacchi, montenegrini, albanesi epiroti e greci. 1000 invalidi o benemeriti vennero dispensati dal servizio attivo e impiegati nei presidi di Terraferma. I 387 Uffiziali in esubero, furono impiegati per l’inquadramento dei 9 reggimenti provinciali della Milizia Territoriale composta da 9000 uomini scelti. I 4 reggimenti di Città erano a carico del capoluogo di cui portavano il nome Treviso, Padova, Verona e Rovigo. Detti reggimenti venivano retti da un nobile locale. La fanteria, inclusa quella imbarcata a rotazione sulle navi e sulle galee, era divisa in “riparti” di Levante, Dalmazia e Terraferma, comandati da Sargenti Generali. Dal Riparto di Terraferma dipendevano anche il deposito delle reclute del Lido di Venezia, i presidi dell’Istria e le truppe imbarcate sulla squadra del Golfo. Il reggimento di maggior prestigio della fanteria Veneziana era il “Reggimento Veneto Real”, considerato un corpo di élite, costituito nel 1688 per la campagna di conquista della Morea. Dopo la morte del Schulenburg, il comando dell’esercito passò al Principe Luigi Gonzaga di Castiglione, assistito dal Tenete Generale Widmann. Con il 1755 troviamo al comando delle armate della Repubblica Serenissima, lo scozzese Tenete Generale William Graeme di Bucklivie, il quale aveva come aiutanti di campo un Uffiziale Dalmata, Antonio Marcovic, e il Colonnello Stanley, militare inglese esperto di artiglieria. L’intervento più sostanziale di Graeme fu l’adozione, nel 1757, di un nuovo modello di fucile ad avancarica, progettato dal Colonnello d’artiglieria conte Carlo Tartagna. Ne furono consegnati 18.000 pezzi, ma i risultati modesti di tale arma comportarono nel 1776 l’acquisto di 32.000 fucili austriaci al prezzo di 35 lire venete cadauno. Graeme mori il 12 gennaio 1767 More Veneto[1] e nel anno 1768 il Senato Veneto scelse quale nuovo Tenente Generale, il barone Carl Von Wurzburg. Egli subito propose delle nuove innovazioni quali le modifiche funzionali del fucile Tartagna e dotò le truppe Italiane di un caschetto di cuoio alla maniera austriaca. L’ultimo Tenete Generale nominato dal Senato delle Serenissima fu nel 1789 il modenese Giovanni Salimbeni, già Governatore delle armi di Verona e direttore del collegio militare di quella Città. Nel 1785, fu nominato Sergente Generale e destinato in tale data in Dalmazia. Cooperò attivamente e in maniera determinante alla resa ingloriosa della Repubblica di Venezia, attirandosi la voce popolare di affiliazione massonica e di tradimento. Il suo successivo ripiego al servizio dei francesi accreditò ancor di più tali tesi. Di diverso orientamento fu invece l’atto compiuto da numerosi ufficiali della Repubblica, i quali rifiutarono di prestar giuramento al nuovo regime volendo rimaner fedeli a San Marco. Il loro gesto indusse buona parte dei fucilieri della Infanteria a defezionare pur di mantenersi ligi al giuramento prestato alla Repubblica Veneta, preferendo in tal modo venir banditi, come i loro Uffiziali, anziché rendersi spergiuri col riconoscere il governo provvisorio installato dal corso Bonaparte.
LA DIVISA
Nel 1700 l’abito dell’ Infanteria ebbe una lenta ma costante evoluzione verso forme più pratiche e funzionali, seguendo le indicazione di quei Uffiziali provenienti da paesi militarmente più evoluti. Infatti nel 1744 entra in vigore un nuovo modello d’abito come suggerito dal Maresciallo Von Schulenburg. E’ da questa data, infatti, che il bianco ed il turchino diventeranno i colori comuni a tutti i Reggimenti d’ Infanteria ad esclusione di quelli Oltremarini che mantenevano le mostre di colore rosso. Con l’ultimo decreto del 1789 si adottarono le uniformi di foggia austriaca e prussiana ed è quella illustrata dettagliatamene negli acquerelli del Capitano Antonio Paravia, autore di memorie storiche e sull’esercito veneziano che si trovano al Civico Museo Correr. Nel 1789 il Senato precisava che l’uniforme doveva essere composta da: per i Bassi Uffiziale e i soldati da velada di panno blu con balzane e colarin bianco, bottoni gialli piatti recanti il numero del Reggimento, bragoni blu, stivalette di tela negro alti fin sopra i ginocchi e coletto di pelle negro lucida. Palosso con fodero negro e pendone ornato di placca. Il commesso e camiciola, con la nuova divisa, furono dimessi con notevole risparmio per l’erario. La montatura d’allora era composta da: caschetto in cuoio recante in tempi diversi una placca in ottone con il San Marco in “moeca” o andante, i pendenti, uno per il tasco e uno per la baionetta erano di cuoio bianco. Il tasco nero era armato di legno per intascar meglio le fissecche (cartucce), su questo campeggiava un San Marco in “moeca” d’ottone. L’adozione del caschetto in cuoio risale al decreto del 1775 con cui viene dismesso il tricorno. Lo shako di cuoio fu suggerito dal Generale Wurtzburg. Sul frontale vi è una oregiola di pelle, al fine di distinguerli i reggimenti di fanteria da quelli degli artiglieri. Nel periodo invernale veniva indossato il veladone di panno blu su cui gli Alti Uffiziali riportano il grado sul colletto e sulle bolzanelle.
IL RECLUTAMENTO
Il reclutamento della truppa Veneta avveniva nei mesi di novembre, dicembre e gennaio, a cura di capileva assistiti da speciali compagnie di leva formate da quaranta reclutatori itineranti suddivisi in gruppi di tre agli ordini di un capo piazza, a cui era permesso portare il bastone di legno senza pomolo. Agli stessi era vietato ricorrere a lusinghe o ubriacature, sotto pena di cassazione dalle compagnie di leva e di invio al servizio per sei anni in Levante quali semplici soldati. Nel 1783 il capitano Carlo Marchiondi, capoleva in Dalmazia, fu promosso Tenente Colonnello per aver reclutato in quattro anni 5.000 uomini, il doppio di quanto richiestogli dal Savio alla Scrittura (Ministro della Guerra). I requisiti delle reclute erano un’età fra i 16 e i 40 anni, non aver riportato condanne penali, statura minima di m. 1.62, sana e robusta costituzione con assenza di imperfezioni. Le reclute migliori erano destinate alla Terra – Ferma, le altre ai reparti di Levante o Dalmazia. Per le truppe destinate alla Terra – Ferma il reclutatore riceveva 22 ducati per le altre 20. Lo stesso reclutatore anticipava 12 ducati per dotare le reclute dell’uniforme ordinaria, restandogli così un margine di guadagno di 8 – 10 ducati. Per limitare le rapine e le diserzioni, tutti gli spostamenti delle reclute erano vigilati dalle compagnie di leva e della cavalleria, con destinazione di concentramento al Lido. Qui dopo essere registrate, venivano consegnate al “Serraglio” dove venivano “sbandate”, equipaggiate e sommariamente istruite. Il soggiorno nelle caserme di Santa Maria Elisabetta al Lido, capaci di 4.000 uomini, durava in media cinque mesi, in attesa che i colonnelli andassero a scegliere i nuovi soldati per i propri reggimenti. Allora finalmente, venivano imbarcati sui “burchi” fluviali per Fusina e il Castello di Padova che funzionavano da depositi sussidiari, da dove marciavano ai reggimenti. Trasferimenti che avvenivano via terra, per non intralciare il traffico fluviale sull’Adige con le tradotte militari. La ferma massima era di sei anni portata successivamente a nove. La diserzione era punita con la reclusione oppure con la condanna al remo per un periodo inferiore. Nella metà del secolo XVIII° erano cadute in desuetudine le punizioni corporali (bastone e bacchette). Venivano invece irrogati gli arresti semplici con catene a pane e acqua, o sanzioni arbitrarie come il raddoppio dei servizi di guardia. La paga mensile del sergente di fanteria era di 8 ducati, al caporale spettavano 6 ducati e mezzo, al fante meno di 4 ducati. Tradizionalmente i soldati veneti dormivano vestiti, per terra o sulle tavole, infagottati nella “schiavina”[2]. Solo nel 1781, per i presidi più freddi e disagiati, si introdussero paglioni o pagliericci. Per la scarsità della forza in rapporto al gran numero di presidi, i soldati montavano di guardia per tre giorni di seguito, con cambio ogni tre ore. Circa un terzo della fanteria, prestava servizio a rotazione a bordo delle navi.
LEGGI DI OTTAZIONE
Le norme per l’avanzamento di grado risalgono al capitano Molin (1695) e al Savio alla Scrittura de Terra Ferma Michele Morosini (1740). I criteri di scelta prevedevano abilità, anzianità e merito, ma in pratica prevaleva l’anzianità. Gli esami da Capitano a Sergente Maggiore prevedevano la capacità di riconoscere il battaglione e ripartirlo con i Bassi Uffiziali, fare la disposizione degli Uffiziali e mandarli in parata, passare Uffiziali e Sottuffiziali in coda per il maneggio delle armi, ordinare e comandare il maneggio delle armi, ordinare due raddoppi di file, ridurlo in stato di battaglia, far fuoco con quattro plotoni al centro e due mezze divisioni alle ali, staccare la marcia per mezze divisioni, ridursi in divisioni con passo accelerato, formare il quadrato in marcia, fare una scarica generale, disfare il quadrato e ridurre il battaglione in stato di parata. Non mancavano neppure gli esami teorici che comprendevano: i doveri degli Uffiziali, il servizio di piazza, il modo di accampare e acquartierare, marciare, imbarcare e sbarcare, distribuire i reparti nel quartiere e raccoglierli in piazza. Il Colonnello di fanteria guadagnava 1.200 ducati annui, ai Tenenti Colonnelli Veneti veniva corrisposta la paga di 720 ducati, ai Maggiori 600, ai Capitani 480, ai Tenenti 228,e infine agli Alfieri 180 ducati.
ALFIERE
Gli alfieri, dal latino aquilifer, portavano normalmente le Venete Insegne sul fianco destro, l’asta alquanto inclinata verso dritta e pendente in avanti. Le Bandiere dovevano essere avvolte nella loro custodia di panno nero, solo nelle mostre o nel fuoco per esercizio e nella parate, venivano spiegate e tenute bel alte, col tempo sereno e senza vento si lasciava la bandiera a drappo volante, nei giorni piovosi o con vento si deve prendere “il canto”[3] pendente e con la mano destra si serrava l’asta. Nelle parate, senza accezione di tempo, le Venete Insegne dovevano essere sempre spiegate. L’Alfiere abbassava la bandiera davanti a quelle supreme cariche militari cui si rendeva dagli Uffiziali il completo saluto con la spada, compiendo un ottavo di giro a dritta, poi con la mano dritta abbassando l’asta della bandiera verso sinistra “finche il piatto della lancia sia un palmo distante da terra, nel contempo si raccoglie con la mano sinistra il drappo e si impugna per di fuori dell’asta”. Per salutare tutti gl’altri superiori l’Alfiere doveva togliere semplicemente di capo il cappello. L’asta dalla Bandiera termina sempre a punta, la parte opposta terminava con un puntale di metallo dello stesso colore in modo da dare un suono metallico quando si appoggia a terra[4].
COLLEGIO MILITARE
Con decreto del 3 marzo 1785 si emanarono le ultime riforme al regolamento delle scuole per i cadetti delle Città di Verona e di Zara. Il programma di studio articolato in sei anni con 10 mesi di frequenza, prevedeva l’apprendimento comune di religione, matematica, disegno, tattica, geografia, storia, lettere italiane e latine, lingua francese, equitazione e scherma. I programmi per le armi, prevedevano corsi di fortificazione, artiglieria, strategia, tattica, castrametazione[5], architettura, idraulica, disegno tecnico, trigonometria, algebra. I corsi duravano ben otto anni. Vi erano ammessi 144 allievi, l’età minima era di 12 anni. La tabella oraria dell’accademia era di circa 10 ore giornaliere, nei giorni feriali, integrata da una giornata di esercitazioni militari nelle pubbliche piazze nei giorni festivi. L’anno scolastico iniziava il 12 di novembre e terminava all’ 11 di settembre d’anno successivo. Erano considerati giorni di vacanza il giovedì, se non vi erano altre festività infrasettimanali, nove giorni per i periodo natalizio, otto giorni per il carnevale, e sette giorni per la Santa Pasqua. Il programma di tattica militare prevvedeva:
1° anno: portamento dei Cadetti al maneggio delle armi, raddoppio e marcia.
2° anno: maneggio del Battaglione, ripartirlo, farlo marciare,evoluzioni e fuochi.
3° anno: doveri dei soldati e Ufficiali, servizio nelle piazze e sui legni pubblici.
4° anno: marcia della cavalleria e servizio nelle pubbliche piazze.
5° anno: fortificazioni campali e permanenti, mine e contromine, castrametazione e trincee, servizi della fanteria e della cavalleria in campagna.
6° anno: attacco e difesa delle piazze forti, costruzioni di batterie, ordini di battaglia, movimento degli eserciti.
Alla fine di ogni anno scolastico si svolgevano, alla presenza del Governatore del collegio, del Direttore delle scuole e dei rispettivi professori, venivano eseguiti gli esami finali di profitto. Agli allievi primi classificati ricevevano in premio delle medaglie d’oro.
LA CERNIDE O MILIZIA TERRITORIALE
In considerazione della vastità della Repubblica e per creare delle truppe stanziali che potessero all’occorrenza difendere la loro Terra, vennero create le Cernide, truppe paesane a ferma obbligatoria che includevano tutti gli uomini, estratti a sorte, di età compresa tra i 18 e 40 anni. Contava di una forza di circa 24.000 uomini con 10.000 di riserva, soggetti ad una ferma ventennale e ripartiti in 14 circoscrizioni provinciali a loro volta suddivise in centurie e squadre, comandate dai capicenturia e dai caporali e organizzate su base parrocchiale, infatti dei moti nei 1797, era facile trovarle al comando di qualche sacerdote. Armate di fucili bresciani a spese dei comuni erano amministrate dal Savio di Terraferma alle Ordinanze, coadiuvato da due sergenti Maggiori, 80 ufficili. Da tale magistrato dipendevano anche le altre Milizie Locali autonome delle Valli Bresciane, dei Sette Comuni, del Friuli, delle Isole Ionie e le Craine o Collettizie Dalmate e Istriane. L’addestramento prevedeva 2 esercitazioni di squadra mensili, due di centuria all’anno e una adunata primaverile. La mancata presentazione alle mostre era punita con una multa di 36 soldi grossi, la recidiva con 3 tratti di corda e la renitenza con 18 mesi di remo. La paga di una lira la giorno era da tutti considerati insufficiente. Nel 1793 il taglio dell’abito delle Cernide era identico a quello dell’ Infanteria di linea.
Nel 1793, seguendo l’esempio austriaco e quello sabaudo, anche la Serenissima istituì una ricompensa al valor militare. All’inizio esse furono solo di due forge, d’oro e d’argento, ed erano da considerarsi come “pubblico e onorifico contrassegno per le azioni di segnalato valore”, La decorazione poteva essere concessa esclusivamente ai “Bassi Uffiziali e soldati”. All’assegnatario comportava un soprassoldo annuo pari a un mese di paga, se medaglia d’oro e mezza mesata, se medaglia d’argento. Il conferimento della decorazione doveva avvenire con una cerimonia pubblica ed alla presenza dei reparti in armi.
DECORAZIONI
Nel 1793, seguendo l’esempio austriaco e quello sabaudo, anche la Serenissima istituì una ricompensa al valor militare. All’inizio esse furono solo di due forge, d’oro e d’argento, ed erano da considerarsi come “pubblico e onorifico contrassegno per le azioni di segnalato valore”, La decorazione poteva essere concessa esclusivamente ai “Bassi Uffiziali e soldati”. All’assegnatario comportava un soprassoldo annuo pari a un mese di paga, se medaglia d’oro e mezza mesata, se medaglia d’argento. Il conferimento della decorazione doveva avvenire con una cerimonia pubblica ed alla presenza dei reparti in armi.
[1] L’anno Veneto iniziava il 1° marzo
[2] coperta di lana grezza in uso alle truppe
[3] Lembo
[4] Da esercizi personali capitolo secondo esercizio della bandiera per li alfieri 1795
[5] Arte di disporre gli accampamenti in un campo trincerato